Burden of disease

 

Lupus eritematoso sistemico: la più eterogenea delle malattie autoimmuni¹

Il lupus eritematoso sistemico (LES) è una malattia autoimmune complessa la cui presentazione clinica è varia e imprevedibile. Considerato come uno dei "grandi imitatori" della medicina, il LES può manifestarsi con sintomi transitori e in evoluzione che imitano altre malattie, causando spesso un ritardo nella diagnosi.¹


Il LES può colpire soggetti molto diversi per età ed etnia, con tassi di prevalenza più elevati nelle donne, che rappresentano il 90% dei pazienti.¹

 

Manifestazioni cliniche del LES¹

 

Le manifestazioni cliniche più comuni tra i pazienti con LES sono:¹

  • manifestazioni ematologiche
  • manifestazioni muscoloscheletriche (artrite)
  • rash cutanei
  • fotosensibilità
  • sintomi costituzionali come febbre, affaticamento, perdita di peso, ulcere orali o nasali
  • manifestazioni renali
  • manifestazioni neuropsichiatriche
  • pleurite
  • pericardite
  • fenomeno di Raynaud

 

Elaborazione grafica di dati da Fig. 1 Rif. 1

Lupus eritematoso e rischio di danno d’organo²

Il carico di malattia nel LES è determinato sia dalla severità della malattia infiammatoria immunologica e dal conseguente danno d’organo, sia dal processo patologico stesso, dalle comorbidità o dal trattamento.² È stato dimostrato che il danno d’organo può accumularsi nel corso del tempo anche quando l’attività di malattia si riduce.² Il danno d’organo nel LES è associato a un significativo incremento della mortalità.³ Tra i fattori che possono causare danno d’organo irreversibile c’è certamente l’esposizione ai glucocorticoidi.⁴

  • Elaborazione grafica di dati da Rif. 2

  • Elaborazione grafica di dati da Rif. 2

 

Dati di 298 pazienti della coorte SLICC seguiti per un minimo di 5 anni.²
SLEDAI-2K: indice di attività della malattia nel LES; valori maggiori indicano maggiore attività.²
SDI: strumento validato per misurare il danno d’organo nel LES; valori maggiori indicano maggiore danno accumulato.²

Nei pazienti con LES le riacutizzazioni della malattia sono intermittenti e possono verificarsi senza alcun chiaro preavviso. Esse possono essere sintomatiche, con manifestazioni cliniche, come dolori articolari, eruzioni cutanee o ulcere orali, oppure silenti e quindi rilevate solo attraverso test di laboratorio deiparametri ematologici e renali.¹ Il numero di riacutizzazioni, indipendentemente dalla loro gravità, aumenta il rischio di accumulo di danni d’organo.⁵

Elaborazione grafica di dati da Rif. 5

Tra i fattori che possono causare danno d’organo irreversibile c’è certamente l’esposizione ai glucocorticoidi (GC).⁶ Infatti, è stato osservato che il loro utilizzo contribuisce all’accumulo di danni indipendentemente dall’attività di malattia.⁷ Inoltre è stato dimostrato che dosaggi ≥7,5 mg/die incrementano significativamente il rischio di diversi danni d’organo rispetto a dosaggi inferiori.⁸

Elaborazione grafica di dati da Rif. 4
*Pazienti con LES della University of Toronto Lupus Clinic che non avevano mai assunto glucocorticosteroidi e che avevano avuto un minimo di 3 anni di follow-up.⁴

Anche l’uso di immunosoppressori è un fattore di rischio per la progressione del danno.⁹ Alla luce di questi dati, la riduzione della dose di corticosteroidi rimane un obiettivo importante nella gestione del LES.⁸

Elaborazione grafica di dati da Rif. 8
SDI: strumento validato per misurare il danno d’organo irreversibile in 12 diversi sistemi d’organo in pazienti con LES⁸

È ormai chiaro che l’esposizione ai glucocorticoidi contribuisca all’accumulo di danni d’organo⁶ A tal proposito, uno studio condotto presso la Lupus Clinic dell’Università di Toronto ha confrontato l’accumulo di danno d’organo di 86 pazienti con LES che non avevano mai assunto glucocorticosteroidi con quello di 173 pazienti che avevano ricevuto glucocorticosteroidi entro i primi 6 mesi dalla diagnosi di LES e per almeno 3 anni.⁴ Ne è emerso come i pazienti esposti a GC abbiano accumulato più danni d’organo rispetto ai pazienti naïve ai GC nel corso del tempo.⁴

 

Elaborazione grafica di dati da Rif. 4
*Pazienti con LES della University of Toronto Lupus Clinic che non avevano mai assunto glucocorticosteroidi e che avevano avuto un minimo di 3 anni di follow-up.⁴
SDI: strumento validato per misurare il danno d’organo nel LES; valori maggiori indicano maggiore danno accumulato.

Un’analisi della Hopkins Lupus Cohort ha dimostrato che il rischio di sviluppare nuovi danni d’organo con GC sembra essere dose-dipendente.⁸

 

In particolar modo in merito alla relazione glucocorticoidi-danno d’organo è emerso che

 

  • L’utilizzo di dosaggi di prednisone ≥7,5 mg/die nel tempo era associato a un rischio 1,7 volte maggiore di sviluppare qualsiasi nuovo danno d’organo rispetto a dosaggi inferiori a <7,5 mg/die. La relazione dose-risposta si manteneva anche dopo aggiustamento per l’attività di malattia⁸
  • Dosi giornaliere di prednisone ≥7,5 mg hanno aumentato il rischio di sviluppare cataratta, fratture osteoporotiche e danno cardiovascolare, ma non danno renale⁸
  • Ciascun incremento di 1 mg/die della dose media di GC aumentava il rischio di sviluppare un qualsiasi danno d’organo in futuro del 3%. In particolare un aumento della dose media di prednisone di 1 mg/die era associato all’aumento del rischio di cataratta del 3,8% e di fratture osteoporotiche del 4,2%⁸
  • Pazienti che avevano assunto la dose più alta (dose di prednisone ≥20 mg/die) avevano una probabilità pari a più del doppio di subire danno d’organo rispetto a quelli che avevano ricevuto <7,5 mg/die (HR=2,514; p<0,001)⁸

Elaborazione grafica di dati da Rif. 8
* Dati di 2199 pazienti con LES che avevano partecipato allo studio longitudinale Hopkins Lupus Cohort.

 

Questi dati sul rischio di danno d’organo associato ad un aumento della dose media di prednisone possono aiutare il clinico nel processo decisionale e nella scelta di ridurre gradualmente la dose di corticosteroidi nel LES. Tuttavia, una riduzione graduale dei corticosteroidi, al di sotto dei livelli di 5 mg/die, è possibile solocon bassi livelli di attività della malattia e ciò evidenzia l’unmet-need di terapie risparmiatrici di corticosteroidi che contemporaneamente riducano l’attività della malattia.⁸

I risultati dello studio italiano multicentrico Early Lupus Project hanno inoltre mostrato che la dose cumulativa di GC è associata al danno d’organo, nonostante la progressiva riduzione della dose giornaliera.¹⁰


Infatti, mentre la dose mediana giornaliera di prednisone si è progressivamente ridotta da 15 mg (5,9–30,0) al basale a 3,2 mg (0,9–4,9) a 36 mesi, la dose cumulativa è passata da 1,0 g (0,1–2,1) al basale a 5,4 g (1,5–8,0) dopo 3 anni. Parallelamente è aumentata dal 18,6% al 29,1% la percentuale di pazienti con SDI≥1 (indicativo di danno d’organo).¹⁰

Elaborazione grafica di Fig.2, Rif. 10

Un’analisi realizzata sui dati di 452 pazienti con LES (93% donne) seguiti in sette centri di riferimento terziari italiani e che hanno completato un ciclo di vaccinazione primaria per SARS-CoV-2 tra gennaio e novembre 2021 ha mostrato che il trattamento con corticosteroidi prima della vaccinazione si associa a un rischio più di 3 volte maggiore di sviluppare COVID-19 dopo la vaccinazione (HR=3,15, IC 95% da 1,62 a 6,12; p=0,001).¹¹ L’utilizzo di corticosteroidi si associa quindi anche ad una ridotta protezione da COVID-19 a livello clinico.¹¹

Elaborazione grafica di Fig. 1, Rif. 11
Curve di sopravvivenza di Kaplan-Meier che mostrano il diverso tasso di insorgenza di COVID-19 tra i pazienti che ricevono corticosteroidi (linea rossa) e quelli con altri trattamenti (linea blu).¹¹

Esiti della malattia

Nonostante i miglioramenti osservati nell’ultimo decennio, la mortalità per LES rimane sproporzionatamente elevata, soprattutto nella popolazione più giovane.¹²

In generale i pazienti con LES hanno un tasso di mortalità per tutte la cause 1,8 volte maggiore rispetto ai controlli, ma nella fascia di età più giovane (18-39 anni) il rischio aumenta di quasi 5 volte.¹³

 

Elaborazione grafica di dati da Rif. 13
# Dati provenienti da uno studio di coorte “population-based” condotto utilizzando il Clinical Practice Research Datalink, le statistiche ospedaliere e i certificati di morte (dal 1987 al 2012). Ciascun paziente con LES (n=4343) è stato “matchato” per età e sesso con un massimo di sei controlli (n=21.780). HR aggiustato per potenziali fattori di confondimento.¹³

Nei pazienti con LES la remissione, completa o clinica, è un evento raro.¹⁴ Dall’analisi retrospettiva dei dati di 115 pazienti con LES (Pisa Lupus Clinical Coort), è emerso che al basale il 28,7% dei pazienti in trattamento per il LES era in remissione.¹⁵ Dopo 5 anni di terapia solo il 7,8% di questi era in remissione completa.¹⁵

 

 

Elaborazione grafica di dati da Rif. 15
Analisi retrospettiva dei dati di uno studio osservazionale longitudinale di pazienti con LES (Pisa Lupus Clinical Coort) che sono stati seguiti dal 2012 al 2016 (n = 115).¹⁴°
Le definizioni di remissione sono state applicate secondo i criteri DORIS. La remissione completa è stata definita come remissione clinica con sierologia negativa.¹⁴
RONT: remissione completa in trattamento; ROFT: remissione completa non in trattamento

 

Risultati diversi sono stati ottenuti dall’analisi dei dati di 224 pazienti appartenenti al Padova Lupus Cohort: il 15,6% dei pazienti aveva mantenuto una remissione per circa 5 anni durante il trattamento.¹⁴ In questo caso la remissione clinica con GC è stata definita come malattia clinica quiescente sierologicamente attiva secondo SLEDAI-2K in pazienti che assumevano una dose giornaliera da 1 a 5 mg di prednisone o equivalente.¹⁴

I risultati di una revisione sistematica e metanalisi hanno mostrato come l’attività di malattia, il danno d’organo e la qualità della vita nei pazienti con LES siano moderatamente correlati¹⁶

 

Elaborazione grafica da testo Rif. 16

 

A tal proposito è stata dimostrata l’esistenza di una correlazione negativa tra la durata della remissione e l’accumulo di danno d’organo (espresso come incremento dell’indice SDI). Una bassa attività della malattia si associa ad un minor accumulo di danno d’organo.¹⁹

 

Elaborazione grafica da Fig. 1A, Rif. 19
Dati di 293 pazienti caucasici seguiti prospetticamente per 7 anni presso la clinica del Lupus di Padova¹⁹
SDI: strumento validato per misurare il danno d’organo nel LES; valori maggiori indicano maggiore danno accumulato.

É stato dimostrato come in presenza di più bassa attività della malattia vengano prescritti dosaggi più bassi di glucocorticoidi: la dose media giornaliera di prednisone era infatti di 24 mg nel gruppo con malattia molto attiva e circa la metà (11-13 mg) in ciascuno degli altri gruppi (p = 0,001). Dosi giornaliere > 7,5 mg sono state prescritte a un terzo dei pazienti molto attivi e a circa il 15% di quelli con attività della malattia bassa o moderata (p < 0,001).²⁰

Elaborazione grafica da testo Rif. ²⁰
Dati di 2019 pazienti con LES (al basale) seguiti per 5 anni. L’attività della malattia è stata misurata al basale e annualmente utilizzando l’indice SLEDAI-2K di attività della malattia nel LES.¹⁹

 

Non da meno, uno studio prospettico condotto su 1422 soggetti con LES, ha dimostrato che pazienti con bassa attività della malattia hanno migliori punteggi sia a livello fisico che mentale, in termini di qualità della vita.²¹

 

 

Elaborazione grafica da Fig. 2, Rif. 21

 

Studio prospettico condotto su 1422 pazienti con LES.La qualità della vita correlata alla salute è stata misurata utilizzando la Short Form Health Survey 36 (SF-36)²¹

 

 

Una delle principali sfide nella gestione del LES resta quindi controllare l’attività della malattia e prevenire danni irreversibili d’organo, che influiscono sulla qualità della vita e sulla mortalità dei pazienti.¹⁹

GC: glucocorticoidi; LES: Lupus eritematoso sistemico; SDI: Systemic Lupus International Collaborating Clinics/American College of RheumatologyDamage Index; SLEDAI-2K: Systemic Lupus Erythematosus Disease Activity Index 2000; SLICC: Systemic Lupus International Collaborating Clinics.

 

Bibliografia

 
  1. Allen ME et al. Trends Mol Med 2021 Feb; 27 (2): 152-171.
  2. Urowitz MB et al. Arthritis Care Res 2012; 64(1):132-7.
  3. Murimi-Worstell IB, et al. BMJ Open 2020; 10 (5): e031850.
  4. Sheane BJ et al. Arthritis Care Res 2017; 69(2):252-256.
  5. Ugarte-Gil MF et al. Ann Rheum Dis 2015; 74(6):1019-23.
  6. Ugarte-Gil MF, et al. Lupus Sci Med 2021; 8:e000590.
  7. Apostolopoulos D, et al. Lancet Rheumatol 2020; 2 (1): e24-e30.
  8. Al Sawah S, et al. Lupus Sci Med 2015; 2( 1): e000066.
  9. Urowitz MB et al. J Rheumatol 2021; 48(1):67-73.
  10. Piga M et al. Rheumatology (Oxford) 2020; 59 (9): 2272-2281.
  11. Ramirez GA et al. Ann Rheum Dis 2022; annrheumdis-2022-222832.
  12. Singh RR et al. Lupus 2018; 27 (10): 1577-1581.
  13. Bultink IEM et al. Rheumatology (Oxford) 2021; 60 (1): 207-216.
  14. Zen M et al. Ann Rheum Dis 2015; 74 (12): 2117-22.
  15. Tani C et al. Lupus Sci Med 2018; 5 (1): e000234.
  16. Shi Y et al. Autoimmun Rev 2021; 20 (1): 102691.
  17. Conti F et al. Lupus 2016; 25 (7): 719-26.
  18. Takase Y et al. Lupus 2021; 30 (10): 1577-1585.
  19. Zen M, et al. Ann Rheum Dis 2017;76 (3): 562-565.Peschken CA et al. J Rheumatol 2019; 46 (2): 166-175.Golder V et al. Arthritis Res Ther 2017; 19 (1): 62.
Back to top button image