I segni e i sintomi del tumore ovarico sono aspecifici.1 Per questa ragione, le pazienti spesso non si rivolgono ad uno specialista, contribuendo al ritardo della diagnosi.1 Tra i sintomi più comuni ci sono:1
Negli ultimi anni, grazie all’uso della pillola contraccettiva, il tumore ovarico ha registrato un decremento di incidenza.1 La prognosi per le donne che sviluppano il tumore ovarico è direttamente correlata allo stadio della malattia al momento della diagnosi.1
Elaborazione grafica Tab. Rif. 4
Negli stadi iniziali di malattia, i fattori prognostici sono:
Sulla base di questi dati è possibile identificare tre classi di pazienti a diverso rischio di recidiva per gli stadi iniziali del tumore epiteliale ovarico.4
Negli stadi avanzati di malattia invece, i fattori associati a prognosi sfavorevole sono:
Classificazione, istopatologia e fattori di rischio
La classificazione dei tumori ovarici attualmente si basa sulla classificazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità del 2002, che distingue i tumori ovarici in primitivi e secondari: i primi possono originare dall’epitelio di superficie, dallo stroma ovarico e dai cordoni sessuali, e infine dalle cellule germinali; i secondi, invece, derivano da neoplasie primarie extraovariche.3
I tumori sierosi sono classificati in altre due categorie: carcinomi sierosi di alto grado (HGSC) o carcinomi sierosi di basso grado (LGSC).1
I segni e i sintomi del tumore ovarico sono aspecifici.1 Per questa ragione, le pazienti spesso non si rivolgono ad uno specialista, contribuendo al ritardo della diagnosi.1 Tra i sintomi più comuni ci sono:1
Il medico dovrebbe tenere in considerazione la presenza di questi sintomi, soprattutto in donne a rischio di insorgenza di tumore ovarico.1
Inoltre, ad oggi, non esistono procedure diagnostiche che permettono di ottenere una diagnosi in stadio precoce.3 In genere, la diagnosi dei tumori epiteliali ovarici prevede l’esame clinico, la visita ginecologica con ecografia pelvica e in alcuni casi, la valutazione dell’antigene tumorale 125 (CA125).3
CA125 non è un marcatore specifico di tumore dell'ovaio, in quanto può risultare elevato anche in altre condizioni patologiche non tumorali, specialmente nelle donne in premenopausa.3 Tuttavia, il valore predittivo positivo del CA125 è di circa il 10% e diventa del 20% quando si associa all’ecografica della pelvi, motivo per cui lo screening per il carcinoma ovarico nella popolazione generale non è raccomandato ad oggi da nessuna società scientifica.3 Mutazioni dei geni BRCA predispongono allo sviluppo di alcune neoplasie e hanno reso fondamentale l’effettuazione del test per la ricerca di mutazioni in questi geni in tutte le pazienti con tumore epiteliale non mucinoso e non borderline dell’ovaio al momento della diagnosi.5
Come per qualsiasi altro tumore, una vera diagnosi viene ottenuta attraverso una biopsia del tessuto campione.1 La stadiazione del carcinoma ovarico utilizza la scala della Federazione Internazionale di Ginecologia e Ostetricia (FIGO).3
Il test BRCA può essere eseguito sia sul sangue periferico (test germinale) sia sul tessuto neoplastico, ovvero il tessuto che presenta il tumore (test somatico).3 In presenza di un test positivo sul tumore, va sempre eseguito il test genetico su un campione di sangue per distinguere le mutazioni somatiche - presenti solo nel tumore e non in tutte le cellule del corpo - da quelle germinali, presenti in tutto il corredo genetico e quindi trasmissibili geneticamente.3 L’analisi somatica consente di identificare una frazione di pazienti affette da carcinoma ovarico con mutazione BRCA pari a circa il 7%, che rimarrebbero misconosciute con il solo test su sangue periferico.5
Il test BRCA nelle pazienti con carcinoma ovarico è utile per:5
- identificare le pazienti con maggiore possibilità di risposta a specifiche terapie antitumorali
- ricercare la variante patogenetica familiare e indirizzare i parenti a rischio maggiore di neoplasia alla prevenzione
Studi hanno dimostrato che le pazienti affette da carcinoma ovarico e portatrici di una variante patogenetica germinale BRCA, hanno una sensibilità farmacologica maggiore alle strategie terapeutiche a base di derivati del platino. Inoltre, le varianti patogenetiche dei geni BRCA (germinale o somatica) rappresentano un marker predittivo di maggiore sensibilità al trattamento con inibitori dell’enzima Poli (ADP-ribosio)Polimerasi (PARP).5
Circa un quarto delle donne portatrici di queste varianti riceve una diagnosi di tumore ovarico oltre i 60 anni.5 Inoltre, la positività al test BRCA nelle donne con carcinoma ovarico consente di estendere la consulenza genetica a scopi preventivi ai familiari e di mettere eventualmente in atto per questi ultimi strategie di riduzione del rischio.5 In Paesi dove il test BRCA è effettuato su tutte le pazienti affette da tumore ovarico, è stimata una riduzione dell’incidenza del carcinoma ovarico del 40% in 10 anni.5
La prevalenza di varianti patogenetiche costituzionali BRCA – che è indipendente sia dall’età alla diagnosi che dalla storia familiare – è superiore al 10% nelle donne affette da carcinoma ovarico; in particolare, la prevalenza sale al:5
• 17-20% in donne con carcinoma ovarico sieroso
• 23-25% se di alto grado
• 30-40% se la malattia è platino-sensibile
RACCOMANDAZIONI AIOM - SIGU - SIBIOC - SIAPEC - IAP5
Circa il 50% dei tumori ovarici epiteliali presenta un difetto nella riparazione del DNA tramite ricombinazione omologa (HR) a causa di alterazioni genetiche ed epigenetiche dei geni del pathway HR.6 In circa il 10-20% dei tumori ovarici di alto grado è presente ipermetilazione del promotore del gene BRCA1.6
HRD (Homologous Recombination Deficiency) rappresenta quindi un biomarcatore ottimale a supporto delle decisioni cliniche per la gestione della patologia.7
Il test HRD è in grado di analizzare la presenza di un deficit a carico del meccanismo di Homologous Recombination Repair (HRR).8
Infatti, le Linee Guida ESMO consigliano l’utilizzo di un test HRD validato per stabilire l’entità del beneficio derivato dall’uso della classe dei PARP inibitori anche in pazienti HRD+ BRCAwt con carcinoma ovarico di alto grado e per identificare le pazienti che avranno meno probabilità di trarre beneficio dalla classe dei PARP inibitori.8
La chirurgia e la chemioterapia a base di platino rappresentano il gold standard del trattamento del carcinoma ovarico. Le scelte di trattamento dipendono dalla fase di evoluzione del tumore ovarico e dallo stadio della malattia (nuova diagnosi o recidiva, stadio iniziale o stadio avanzato).9
L’approccio chirurgico iniziale, gioca un ruolo di primaria importanza in caso di tumore ovarico sospetto per due ragioni principali:3
1. è utile a scopi diagnostici, in quanto consente l’accertamento, dal punto di vista, istopatologico del tessuto in esame
2. è utile a scopi terapeutici, in quanto permette la rimozione della eventuale massa tumorale e la valutazione dello stadio della malattia
L'approccio chirurgico, inoltre, è fondamentale per la stadiazione; si tratta di una chirurgia citoriduttiva da eseguire in laparotomia o in laparoscopia.3
Le pazienti affette da carcinoma ovarico in stadio iniziale sono sottoposte a chirurgia laparotomica con isteroannessiectomia bilaterale; omentectomia infracolica; linfadenectomia pelvica e aortica; biopsie peritoneali multiple.9
Alle pazienti affette da tumori ovarici al primo stadio che abbiano la necessità di preservare la loro fertilità, può essere proposta la terapia chirurgica “conservativa”, tenendo sempre in considerazione che pazienti ad alto rischio (G2-3, istotipo a cellule chiare, stadio Ic) devono essere sottoposte a chemioterapia postoperatoria adiuvante.9
Nelle pazienti con carcinoma ovarico in stadio avanzato, si raccomanda di eseguire un intervento chirurgico di citoriduzione, che è considerato ottimale se i noduli tumorali residui hanno un diametro o uno spessore massimo inferiore a 1 cm.9 Nella chirurgia citoriduttiva è di fondamentale importanza l’asportazione, ove possibile, di tutta la malattia macroscopicamente visibile.9 La sopravvivenza globale e libera da malattia si correla al residuo tumore post chirurgia primaria.3 Per le pazienti affette da carcinoma ovarico, dovrebbe essere scoraggiata la chirurgia in centri con scarsi volumi o scarsa qualità chirurgica.3 La chemioterapia neoadiuvante (NACT) seguita da chirurgia di intervallo è indicata nei casi in cui non sia possibile effettuare una citoriduzione ottimale di prima istanza (per carico di malattia alla diagnosi, condizioni paziente alla diagnosi).3
La gestione terapeutica ottimale del carcinoma ovarico avanzato prevede l’integrazione tra chirurgia e terapia sistemica; al momento, lo standard terapeutico nel trattamento di prima linea è rappresentato dalla combinazione di carboplatino e paclitaxel.4 Tuttavia, un numero importante di donne affette da carcinoma ovarico presenta una recidiva, con tassi di ricorrenza che variano tra il 75%-80% entro i primi tre anni.3
Oggi, negli stadi avanzati, sia nella prima linea di trattamento che nella recidiva di malattia, sono disponibili nuovi trattamenti “targeted” come farmaci della classe dei PARP inibitori, utilizzati come terapia di mantenimento nel momento in cui la paziente è in risposta in seguito al regime chemioterapico.2 I PARP inibitori interferiscono con il processo di riparazione dei danni al DNA nelle cellule tumorali, portando a morte cellulare nelle cellule tumorali, impedendo la crescita e l’estensione del tumore.1
La terapia di mantenimento con i PARP inibitori sembra essere particolarmente efficace nelle pazienti con mutazione dei geni BRCA1/2, ritardando la recidiva di oltre 3 anni (in I linea).2
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